CONTESTO STORICO: La sconfitta subita da parte delle potenze coalizzate e dalla politica francese mi hanno costretto all’esilio all’Isola d’Elba. Dopo qualche mese tuttavia riesco a fuggire dalla sorveglianza inglese e, sfruttando il malcontento che il ritorno della monarchia aveva diffuso in Francia, riprendo il potere per quelli che saranno i “Cento Giorni”.
Il 20 Marzo 1815 ci fu un incontro tra me e Benjamin Constant, uno dei massimi esponenti della politica liberale in Francia che durante tutto il Consolato e l’Impero rimase per lo più in disparte, dedicandosi alla pubblicazione di alcune opere e frequentando i salotti. Ritengo che questo incontro sia di notevole interesse, dato il suo contesto: ero appena tornato dall’Isola d’Elba, accolto come un liberatore in Francia della quale mi apprestavo a riprenderne la guida.
Non tentai di illudere Constant sulla grave situazione, nè sulle mie opinioni. Non diedi l’aria di essere pentito e corretto dalla lezione della sventura e non cercai di farmi il merito di rientrare nell’orbita delle idee liberali per naturale inclinazione: esaminai freddamente quello che era possibile fare nel mio interesse, con imparzialità vicina all’indifferenza:
“La Nazione per dodici anni si è riposata da ogni agitazione politica e da un anno si sta riposando dalla guerra. Questo doppio riposo le ha restituito un bisogno di attività. Essa vuole o crede di volere una tribuna e delle assemblee, ma non le ha sempre volute. Quando giunsi al potere, la nazione si gettò ai miei piedi. Voi dovete ricordarlo, voi che tentaste di fare opposizione. Ma ditemi: qual era il vostro sostegno, la vostra forza? Nessuna. Io mi presi un’autorità minore di quella che mi si offriva con tanta spontaneità…
Oggi le cose sono mutate. Un governo debole, contrario agli interessi della patria, ha fatto nascere questa diffidenza verso il potere centrale; crede necessario stare sulle difese, osteggiare l’autorità. Sembra che sia ritornato il piacere per le costituzioni, per i dibattiti politici. Si vagheggiano ancora le discussioni politiche… Ma badate bene: è la sola minoranza che li vuole: su ciò non dovete ingannarvi. Il popolo, o se meglio vi piace, la moltitudine non vede che me, non vuole che me. Voi non l’avete veduta questa folla accalcarsi sui miei passi, corrermi incontro, chiamarmi, cercarmi, acclamarmi.
Nel mio ritorno da Cannes a Parigi non ho avuto bisogno di conquistare, ma di dare ordini. Non sono, come si è detto, soltanto l’Imperatore dei soldati, ma anche del popolo, della plebe, della Francia… Non vi siete accorto, in questa occasione, della irresistibile simpatia tra me e il popolo? Lo debbo confessare: non avvenne lo stesso con le altre classi, quelle privilegiate. La nobiltà mi ha servito, gli uomini dai nomi illustri convenivano nei saloni del mio palazzo, accettando, sollecitando, brigando delle cariche: ebbi attorno a me dei Montmorency, dei Noailles, dei Rohan, dei Beauveau, dei Mortemart, ma, bisogna convenirne, fra noi non vi fu mai grande comprensione. Il cavallo era ben addestrato, andava al passo facendo bella mostra, trottava, ma il cavaliere lo sentiva fremere sotto di sé. Col popolo è un’altra cosa. L’anima popolare risponde perfettamente alla mia: io sono uscito dalle file del popolo; egli sente la mia voce. Egli solo ha con me affinità spirituali. Guardate questi poveri coscritti, questi figli di contadini: io non li ho mai accarezzati, li ho anzi trattati duramente: tuttavia si affollavano intorno a me e gridavano: Viva l’Imperatore! Perché io e loro siamo della stessa natura; essi vedono in me il loro appoggio, il loro salvatore contro i nobili… basta che io faccia un segno, o piuttosto che volti lo sguardo, e i nobili saranno massacrati in tutte le province. Hanno così ben manovrato da sei mesi a questa parte!… Ma io non voglio essere il capo di una rivolta contadina. Se c’è il mezzo di governare con una Costituzione, ebbene…
Ho voluto l’impero del mondo, e per assicurarmelo era necessario un potere illimitato. Per governare soltanto la Francia, può darsi che una Costituzione sia meglio… Ho voluto l’Impero del mondo, e chi non lo avrebbe voluto al mio posto? Il mondo m’invitava a governarlo; sovrani e sudditi si precipitavano a gara sotto il mio scettro. Raramente ho trovato resistenza in Francia; ma ne ho incontrata più in qualche Francese oscuro e disarmato che non in tutti questi re, oggi così fieri di non avere più come pari un uomo del popolo… Vedete dunque ciò che vi sembra possibile.
Esponetemi le vostre idee. Elezioni libere? Discussioni pubbliche? Ministri responsabili? Libertà? Io voglio tutto ciò… soprattutto la libertà di stampa, soffocarla è assurdo; ne sono convinto.. io sono l’uomo del popolo; se il popolo vuole realmente la libertà, io gliela debbo dare; ho riconosciuto la sua sovranità e bisogna che presti l’orecchio alle sue volontà ed anche ai suoi capricci. Non ho mai voluto opprimerlo per mio gusto; avevo grandi progetti; la sorte ha deciso: io non sono più un conquistatore, non posso più esserlo. So ciò che è possibile e ciò che non lo è. A me non rimane che una missione: risollevare la Francia e dargli il governo che le conviene… io non odio la libertà; ne ho fatto a meno quando ostacolava il mio cammino ma la comprendo: sono stato allevato nel suo pensiero…
Così l’opera di quindici anni è distrutta e non può essere ricominciata. Occorrerebbero vent’anni e due milioni di uomini da sacrificare. D’altronde, io desidero la pace, e l’otterrò a forza di vittorie. Non voglio darvi false speranze; lascio dire che vi sono trattative ma non ve ne sono. Prevedo una lotta difficile, una lunga guerra. Per sostenerla, bisogna che la nazione mi appoggi, ma in ricompensa essa esigerà la libertà e l’avrà…
La situazione è nuova. Non domando di meglio che essere illuminato. Io veglio. A quarantacinque anni non si è più quello che si era a trenta. Il riposo di un re costituzionale può convenirmi. Più sicuramente ancora, converrà a mio figlio.”
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– Memoriale di Sant’Elena, Las Cases, Migliorini.