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I giorni successivi all’abdicazione – Giugno e Luglio 1815

Domenica 25 Giugno 1815 lasciai l’Eliseo diretto alla Malmaison. Le acclamazioni della popolazione a Parigi erano ancora intense, nonostante avessi firmato l’abdicazione già il 21.

Giovedì 29 giunge alla Malmaison il Generale Becker, inviato dal governo provvisorio con l’ordine di sorvegliarmi. Fouché sapeva bene che questo generale provava del risentimento nei miei confronti e lo inviò al solo scopo di impedirmi di continuare la guerra alla testa delle truppe, che ancora gridavano in lontananza “Viva l’Imperatore”. In realtà il generale svolse il suo ruolo con molto rispetto e mi fece da portavoce quando offrii al governo provvisorio di combattere il nemico come semplice cittadino, per cacciarlo dalla Francia. Al rifiuto del governo, decisi di partire.

In pochi giorni raggiunsi Rochefort, sulla costa Atlantica francese; i membri del mio seguito ebbero delle disavventure durante il viaggio, ma alla fine riuscirono a raggiungermi indenni. Il momento tumultuoso della Francia, le notizie oscure che giungevano da ogni parte, potevano trasformare in poco tempo un amico in un nemico. A Rochefort alloggiai nella prefettura. Molta gente circondava l’edificio e ogni tanto si sentivano delle acclamazioni. Alcuni Generali vennero o mandarono emissari per mettersi al mio servizio, ma io rimango tranquillo, impassibile e indifferente.

Un luogotenente di vascello della nostra marina, comandante di un bastimento mercantile danese, si offrì di salvarmi, imbarcandomi nascosto e portandomi negli Stati Uniti. Domandò solo una piccola somma per coprire le spese del viaggio e venne steso il contratto per questa piccola impresa.

Sabato 8 raggiunsi la costa nei pressi di Fourras, mi imbarcai sulla Saale, dove passai la notte. Domenica sbarcai sull’Isola di Aix e visitai le sue fortificazioni. Alla sera alcuni uomini del mio seguito chiesero al comandante della flotta inglese se erano giunti i salvacondotti per permetterci di sbarcare negli Stati Uniti; ci fu risposto di no, che avrebbero riferito all’ammiraglio comandante sulla questione  e consigliarono di recarci in Inghilterra, dove non avremmo ricevuto una cattiva accoglienza.

Tutti i passaggi erano bloccati da navi inglesi , che perquisivano le navi neutrali. Dovevamo decidere il da farsi, e mercoledì 12 sbarcai nuovamente sull’isola di Aix, lasciando le fregate parlamentari che si erano rifiutate di tentare l’impresa, complici anche i venti contrari.

Giovedì 13 vennero preparate due piccoli chasse-marée per tentare di aggirare il blocco, e i bagagli erano già stati caricati su uno dei due.

Venerdì 14 una deputazione del mio seguito salì sulla nave inglese Bellerofonte e parlò col capitano Maitland per sapere se erano giunti i salvacondotti. Egli rispose che non aveva notizie in tal senso e che non sapeva se ci sarebbero stati effettivamente concessi. Disse però di avere l’autorizzazione ad accogliermi, qualora decidessi di raggiungere l’Inghilterra. Egli aggiunse poi che avrei trovato lì rispetto e un trattamento degno.

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[Il Memoriale di Sant’Elena, Las Cases, Migliorini]

Cosa fare dopo Waterloo?

La posizione della Francia dopo la battaglia di Waterloo era critica, ma non disperata. Ci si era in parte preparati all’ipotesi che fallisse la campagna del Belgio.

Settantamila uomini furono radunati tra Parigi e Laon; trentamila uomini, compresi i depositi della guardia, erano in marcia da Parigi; il generale Rapp, con venticinquemila uomini di truppe scelte giunse nei primi di luglio sulla Marna; le perdite del materiale di artiglieria erano state riparate. Soltanto a Parigi c’erano cinquecento pezzi in tutto,e ne furono persi appena centosettanta.

In poche parole, un’armata di centoventimila uomini, pari a quella che aveva intrapreso la campagna belga, con trecentocinquanta pezzi d’artiglieria, potevano difendere Parigi il 1 Luglio.

Oltre a questi la capitale poteva contare sui trentaseimila uomini della guardia nazionale, di cui trentamila fucilieri e seimila cannonieri, seicento bocche da fuoco da batteria, trinceramenti sulla riva destra della Senna e quelli sulla sinistra in via di completamento.

Le armate inglesi e prussiane, diminuite di ottantamila unità, potevano contare su centoquarantamila uomini, ma non potevano passare la Somme con più di novantamila soldati; esse attendevano l’arrivo delle armate dell’Austria e della Russia, che non potevano raggiungere la Marna prima del 15 Luglio.

Parigi aveva quindi venticinque giorni per preparare la difesa, terminare le fortificazioni, organizzare gli approvvigionamenti  e concentrare le truppe.

Lione poteva contare sui trentamila uomini del Maresciallo Suchet, più gli uomini della guarnigione. La difesa di tutte le piazzeforti era assicurata da ufficiali e truppe fedeli.

Tutto poteva essere riparato, ma occorreva carattere, energia, fermezza da parte degli ufficiali, del governo, delle Camere, della nazione intera.

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Murat a Waterloo e i due diversi sbarchi

Spesso mi si dipinge come terribile, implacabile, vendicativo. In realtà non sono mai stato in grado di provare rancore, qualsiasi torto mi venisse fatto. La mia rabbia si manifestava violentemente, ma poi nient’altro. Chi mi ha conosciuto lo sa.

Murat, Maresciallo di Francia, da me elevato Re di Napoli, a cui ho anche dato in sposa mia sorella Carolina, mi ha tradito e rovinato; dopo la mia fuga dall’Isola d’Elba, una volta che avevo ripreso il potere e che le sue trame politiche in Italia erano fallite, tentò di rimettersi in contatto con me.

Lo avrei portato volentieri a Waterloo, ma l’esercito francese era troppo patriottico, troppo leale; difficilmente i soldati avrebbero potuto sopportare il disgusto e l’orrore che ispirava Murat, colui che aveva tradito e perduto la Francia. Non mi ritenevo abbastanza forte per imporre una decisione del genere, anche se egli sarebbe stato decisivo per la vittoria!

Ci furono dei momenti, durante la battaglia, nei quali era necessario rompere i quadrati degli inglesi; Murat, con il suo coraggio, la sua sconsideratezza, ci sarebbe riuscito. Era l’uomo adatto. Non ho mai visto nessuno, alla testa della cavalleria, più deciso, più coraggioso, più brillante di lui.

Dopo la mia sconfitta di Waterloo si rifugiò in Corsica. Qui decise, accompagnato da 250 uomini, di tentare uno sbarco nel Regno di Napoli per riprenderselo, tentando di ricalcare la mia impresa. Come poté Murat pensare di aver successo? Non si possono paragonare la mia fuga dall’Elba con il suo sbarco in Calabria. Io ero l’eletto del popolo, il legittimo sovrano, secondo i moderni principi politici. Lui non era napoletano, i napoletani non lo avevano mai eletto. Che interesse avrebbe potuto suscitare in loro? Il suo proclama era falso, e Ferdinando lo trattò come il fomentatore di una ribellione. Murat finì processato e fucilato.

Che differenza con me! Già prima di sbarcare in Francia, essa era tutta unita in un unico sentimento. Essa era scontenta, e io ero la sua speranza. Ecco il segreto di questo moto elettrico unico nella storia. Esso nacque dalla natura delle cose, non ci furono cospirazioni e lo slancio fu generale. Non parlai, ma tutti compresero. Le popolazioni si precipitarono al passaggio del liberatore. I soldati che mi affrontarono si consegnarono a me. Mi portarono fino a Parigi.

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[Memoriale di Sant’Elena, las Cases, Migliorini]