Lettera di Caulaincourt alla moglie – @folledicorsa

L’ultimo volo dell’Aquila

9 marzo 1815

Mia adorata,
credo fermamente che quando questa mia giungerà nelle vostre mani, il nostro beneamato Imperatore Napoleone Bonaparte sarà già rientrato in Parigi. Vostro marito, invece, sarà ancora distante, ancora celato agli illustrissimi occhi del Bonaparte trionfante, sebbene egli desideri più d’ogni altra cosa esser lì, insieme a voi, a viver queste liete giornate.
Sposa mia adorata, non son qui, lontano da Parigi, a perder del tempo prezioso. Per nulla al mondo voglio che il grand’Uomo, insediatosi nuovamente nel Palazzo delle Tuileries, con il Suo fiero sguardo cerchi inutilmente nella sala il mio volto, domandando “Dov’è? m’ha forse rinnegato anch’egli?” No, mai. Il Suo generale, il Suo grande scudiero, il Suo duca di Vicenza, il Suo ambasciatore, il Suo ministro, il Suo Caulaincourt non lo ha tradito, né ha dimenticato l’Impero dell’Aquila e del Tricolore rivoluzionario.
Fate sapere, vi prego, che mi trattengono fuori da Parigi le ultimissime ed improrogabili incombenze, tali da non rendermi immediatamente libero e pronto a servire con tutto me stesso il mio Imperatore. Fate saper al Bonaparte del mio prossimo ritorno a Parigi, che spero avvenga il più presto possibile. Voi, intanto, attendetemi fiduciosa, lustrando la mia alta uniforme e facendo conoscere le mie intenzioni a chi di dovere. Non so se riuscirò mai a descrivervi quanto in questi momenti sia lieto il mio animo e non so se la penna riesca a trasmettervi per intiero la mia contentezza o a farvi udire le alte e gioiose grida del mio cuore traboccante di speranza. Come vorrei sedere al fianco dell’Imperatore nel suo percorrere in direzione della capitale le campagne francesi, descritte tanto giubilanti al Suo passaggio! Come avrei voluto accompagnare quest’Araba Fenice nella Sua fuga dall’Elba, gabbia dorata nel mare d’Etruria! Come vorrei essergli accanto in questo Suo risorgere! Io, che come voi ben sapete lo scortai in quella corsa verso Parigi, nell’appropinquarsi delle prove più crudeli. Questa volta saremmo stati alla fine e non al principio di eventi tanto tristi e sciagurati!
Ovviamente, mia adorata, il pensiero corre a quelle gelide e nevose inquiete giornate passate in islitta, solo con il mio Imperatore, nello sfrenato itinere con meta Parigi a seguito della disfatta sul fronte russo. Come mi disse anche il Bonaparte, in quell’occasione rimasi più a lungo di chiunque altro con il proprio Sovrano. E nel mentre i pattini della islitta filavano via per l’Europa innevata, fui sì vicino all’Imperatore da poter condividere, oltre alla mia coperta, i Suoi pensieri, sdebitandomi e ricambiandolo con tutta la mia franchezza. Egli, come Suo solito, apprezzò sì tanto da rendermi parte di ciò che passava per la Sua Aurea mente, in colloqui che, nonostante il tristo momento, avrei voluto prolungare all’infinito e che, non veduto, appuntai nei rari momenti di riposo per poter far vanto ed onore a questo grand’Uomo, ora tornato. Egli, con assoluto distacco e animo fiducioso, ragionava sulle prossime mosse che avrebbe attuato per arginare e ribaltare quel tracollo russo causato, secondo Lui, da brevi ritardi e tanta sventura. Nei Suoi pensieri v’era perennemente quell’Inghilterra che vedeva (e continua a veder ancor oggi) in Napoleone una minaccia alla propria politica egemonica sull’intiera Europa. E da qui l’imperatore condivideva con me la Sua idea di un futuro oramai infranto, su quei pacifici progetti per la Francia e per il continente, tanto invisi all’arroganza britannica. Egli ripercorreva, senza mai negarle davanti alle mie sincere rimostranze, le difficili scelte compiute in Russia, in Polonia, in Prussia, in terra germanica, in Spagna, in Egitto. Si lamentava duramente nei confronti di moltissimi tra i Suoi sottoposti, per Lui mai stati degni di servirlo. E sempre, mia adorata
moglie, tra questi ragionamenti che sembravano né tangere né riguardare quell’Uomo distaccato e fermo nelle Sue convinzioni, v’era il manifestarsi con bontà e naturalezza di pensieri rivolti all’imperatrice ed al figlio. Come avrei voluto che tutte le orecchie d’Europa potessero sentirlo! Come avrei voluto che ogni eco ripetesse quelle soavi parole!
E adesso, immaginate cosa potrebbe significare accompagnar Napoleone Bonaparte in questo Suo trionfante ritorno. Se allora impiegammo quattordici giorni e quattordici notti per attraversare segretamente l’Europa nel gelo e nell’inquietudine, ora impiegheremmo forse una settimana per traversare l’intiera Francia
osannante. Se allora s’intrava nel pieno d’un difficile inverno, oggi c’avvieremmo verso una gloriosa primavera. Se allora giungemmo a Parigi di notte non visti, ora arriveremmo in tripudio ed alla luce del sole.
Se allora Egli mi rammentava continuamente com’io “vedessi tutto nero”, oggi mi rimprovererebbe di non eccedere nell’esaltazione. Se allora scherzava e mi dava buffetti sulle guance, ora riderebbe cotanto da essere il più guascone dei compari d’avventura. Se allora Egli soleva lamentarsi che le mie dita, rese rigide dal freddo, non riuscissero a stare al passo con le Sue innumerevoli disposizioni, oggi esigerebbe un’ancor più fulminea compilazione delle Sue volontà. Se allora esponeva cotanti progetti e propositi futuri, ora sarebbe un fiume indomabile d’idee.
Mia cara, più non vi trattengo. Tuttavia, vi prego un’ultima volta di preparare ed annunciare il mio ritorno.
E non pensate ch’io abbia dimenticato l’ostinata opposizione dell’Imperatore alle nostre nozze, non celebrate, ahimè, infino alla caduta dell’Impero ed a quest’effimera restaurazione dei Borbone sul trono di Francia. Eppure, l’Uomo Napoleone non fu mai contro il nostro amore: vi ho spesso tediato con il racconto di quelle collane comprate dal Bonaparte in Slesia, nel corso di quel nostro frenetico e solitario ritiro russo nel gelido dicembre di due anni fa. Egli me ne donò metà, spiegandomi che esse sarebbero state per “la Signora de’ vostri pensieri”, cioè voi. Quindi, non v’è motivo d’esser contro al Figlio della Rivoluzione ed al Padre dell’Impero solo perché v’ha impedito di sposare, ma non di amare, l’uomo che vi ama.
Ora più che mai, Egli ha bisogno di me, di voi e della Nazione intiera. E quando sarà il momento, bardate la casa a festa, indossate la coccarda tricolore e onorate il ritorno di Napoleone Bonaparte.
Fatelo almeno per la Francia.
Fatelo almeno per me.

Con affetto,
vostro marito Armand

COMMENTO:
Questa è la possibile lettera che uno dei più leali collaboratori di Napoleone, Armand A. L. de Caulaincourt (1773 – 1827), avrebbe potuto inviare alla propria moglie all’avvento dei cento giorni, periodo (conclusisi con Waterloo) definito – con una fortunata espressione – l’ultimo volo dell’Aquila. Il mittente fu generale dell’esercito francese, duca di Vicenza, Grande Scudiero del Bonaparte e, sul finire dell’età napoleonica, più volte ministro ed ambasciatore. Egli fu l’ultimo ad abbandonare Napoleone nella primavera del 1814 e uno dei primi a tornare nel 1815, sforzandosi inutilmente di rassicurare i sovrani europei sulle volontà pacifiche di Napoleone.
Queste pagine riflettono il principale motivo della celebrità del Caulaincourt, cioè l’aver scortato in una segreta corsa per l’Europa il Bonaparte che, alla disfatta dell’armata imperiale in Russia nel dicembre del 1812, decise di tornar a Parigi per evitare colpi di coda e comandare al meglio la successiva ritirata, resistenza e controffensiva francese. L’esperienza e, soprattutto, i numerosi colloqui avuti con Napoleone durante questo tragitto furono segretamente annotati dal Caulaincourt per poi formare il libro In Islitta con l’imperatore.
È inoltre da richiamare l’opposizione del Bonaparte, uomo tradizionalista, al matrimonio del Caulaincourt con una donna divorziata, che poté esser solamente celebrato dopo l’esilio di Napoleone nell’aprile del 1814.

#Paolo Pigliafreddo

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